Piccola città del futuro, scivolata nel passato senza un presente
di GM
Le case erano luminose, di fresco intonaco, quasi tutte bianchissime, tanto da ricordare soltanto un cielo azzurro a definirne i contorni. Le bambine passeggiavano per mano balzellando e cantavano, poi si fermavano e saltavano la corda. I maschi correvano fischiettando nei prati, pieni d’erba e di ortiche, a giocare a pallone.
La struttura incompiuta della società lasciava spazio solo a gesti individuali, ai sogni, ai suoni del quotidiano, alla ritmica filastrocca delle bimbe che giocavano a campana lungo la strada, con un piccolo sasso e un gessetto, alla voce delle mamme che chiamavano i figli per andare a tavola. Loro lasciavano le bici giù in terra e correvano a casa.
Da una parte all’altra del quartiere tutto era nuovo, libero da sovrastrutture, era come l’infanzia. Il primo confine partiva dall’Ippodromo, verdissimo campo, al cui centro cresceva il grano fin sopra le teste dei bambini.
D’estate, qualche piccolo, spavaldo esploratore superava l’alto muro di cinta e si sdraiava lì, per ore, a guardare il cielo e creare realtà fantastiche in mezzo alle spighe, i papaveri e i fiordalisi. Esistono ancora i fiordalisi?
Su quelle piste, tra il calpestio veloce del galoppo di nervosi cavalli, si mormoravano ricordi dei passi lontani di Hemingway, entrato alla fine della grande guerra nel quartiere che sorgerà, dopo un’altra guerra, per una libertà sociale, costruttiva e moderna.
Ernest Hemingway, USA 1899-1961
“(…) Noi quattro andammo a San Siro in una carrozza scoperta. Era una bella giornata e attraversammo il Parco e seguimmo il tranvai e poi fuori dalla città dove la strada era polverosa.
C’erano ville con le cancellate di ferro e grandi giardini traboccanti di vegetazione, e fossi con l’acqua corrente e orti verdi con la polvere sulle foglie. Attraverso la pianura si vedevano le fattorie e le fertili tenute verdi coi loro canali di irrigazione e le montagne a nord.
Molte carrozze entravano nell’ippodromo e gli inservienti al cancello ci lasciarono entrare senza biglietto perché eravamo in uniforme. Scendemmo dalla carrozza; comprammo i programmi e attraversammo a piedi il prato e poi la soffice pista del percorso verso il recinto del peso.
Le tribune del pesage erano antiche e fatte di legno e i totalizzatori erano sotto le tribune e allineati vicino agli stalli. C’era una folla di soldati lungo lo steccato del prato. Il pesage era pieno di gente e facevano passeggiare i cavalli in cerchio sotto gli alberi dietro alla tribuna centrale. (…)
Salimmo sulla tribuna centrale a guardare la corsa. (…) Allora non c’erano i nastri a San Siro e il commissario allineò tutti i cavalli, parevano piccolissimi giù nella pista, e poi diede il via con uno schiocco della lunga frusta. (…)”
(Da “Addio alle armi” di Ernest Hemingway, traduzione italiana di Fernanda Pivano, Milano, Mondadori)
In anteprima: "Fanciulla che legge", Franz Eybl ,Vienna 1806-1880